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Storie di Mafia: le sorelle Pilliu

Stefano Actis

Storie di Mafia: le sorelle Pilliu

Se si considera la lotta alla mafia, si sente spesso parlare di grandi uomini, grandi giudici come Falcone e Borsellino e poliziotti che hanno lottato contro un sistema enorme, ma probabilmente non saremmo mai arrivati a questo punto se la mafia non fosse stata combattuta anche da persone normali all’apparenza, ma con un coraggio fuori dal comune.

Le sorelle Pilliu sono tra queste, e sentire la loro storia, raccontata da Savina sul palco del Salone del Libro, è stato dirompente nella sua semplicità.

La loro storia inizia negli anni ’80 quando si interessano ai terreni della famiglia Pilliu e a quelli circostanti vari personaggi che gravitavano intorno al mondo mafioso, tra cui Rosario Spatola, boss della mafia italo-americana arrestato dal giudice Falcone, e Pietro Lo Sicco, benzinaio cresciuto con il mito di don Stefano Bontate. Proprio quest’ultimo, entrato in possesso degli stabili adiacenti agli edifici delle Pilliu, dichiara di possedere tutto il complesso con lo scopo di costruire un condominio i cui appartamenti affittare a membri della Palermo bene.

Da questo punto in poi, la storia di Savina e Maria Rosa si fa tutta in salita. Viene offerto loro un indennizzo per andarsene, ma rifiutano. Quando Lo Sicco arriva con le ruspe per buttare giù le loro case, preparano esposti in Procura, Prefettura e in Comune, ovunque fossero disposti ad ascoltarle. Quando l’avvocato, dopo due richieste di archiviazione, le abbandona, Savina si mette in proprio e redige l’atto da sola, a carta e penna, e lo consegna al giudice.

Intanto da quel palazzo passano personaggi che faranno la storia, in peggio, di questo paese, come Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, gli spietati assassini di Giovanni Falcone e del piccolo Giuseppe Di Matteo.

Rimarranno per lunghi anni inascoltate, sole a lottare contro un intero sistema. Tra i pochi che cercheranno di attivarsi in loro aiuto vi sarà Paolo Borsellino, ma i loro incontri finiranno quando il giudice sarà ucciso in via d’Amelio, il 19 luglio 1992; solo dopo molti anni si aggiungeranno a questi pochi i giornalisti Pif e Marco Lillo, che scriveranno il libro pubblicato quest’anno. Quando finalmente i tribunali inizieranno a dar loro ragione, nei primi anni Duemila, non vedranno nessun risarcimento effettivo ma si troveranno a pagarne le tasse e verrà anche negato loro lo status di vittime di mafia.

Questo però non ha mai scalfito la loro forza. Rifiuteranno di entrare in un programma di protezione: “Lui doveva andare in esilio, non noi”, e di avere una scorta. Quando le viene chiesto se avesse paura, Savina risponde: “Certo, ma che dovevamo fare? Chi pecora si fa, il lupo se la mangia!”

Ora rimane solo Savina, che parlando di Maria Rosa, scomparsa ad agosto, si commuove, ma che adesso, nonostante gli anni che passano, ha sempre nei suoi occhi la tenacia del primo giorno: sono gli occhi di chi non si arrende davanti ai soprusi, che davanti a chi le dice “Tu non puoi farcela” risponde “Io posso”.

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