Letteratura è vita

Platone, storia di un dolore che cambia il mondo

Matilde Lanteri Sterza e Federica Benigni

Platone, storia di un dolore che cambia il mondo

“(…) ma non penserà più ad altro: ricordare il maestro, dargli eternità, costruire un posto dove un giusto non possa mai venire ammazzato.”[1]

L’autrice, Annalisa Ambrosio, in questo libro presenta Platone sotto una luce diversa da quella consueta: non il solito grande filosofo classico, bensì un essere umano che prova dolore come tutti.

Aristocle, soprannominato Platone, apparteneva all’aristocrazia ateniese sotto Pericle e tale appellativo gli era stato attribuito perché aveva le spalle larghe, dovute anche ai faticosi allenamenti di pugilato. Si esercitava nell’arte della guerra, ma allo stesso tempo seguiva Socrate e lo considerava maestro di vita.

Proprio per questo, quando Socrate muore, Platone decide di dedicare tutta la sua esistenza a ricordare e tener vivo il ricordo del maestro.

Infatti si propone di andare oltre il pensiero del proprio insegnante e di scrivere, scrivere moltissimi testi. Socrate sosteneva che lasciare qualcosa di scritto portasse le future generazioni a essere ignoranti, ma Platone la pensa diversamente: scrivere, o meglio trascrivere ciò che lui aveva appreso, significava lasciare per sempre il ricordo di Socrate impresso nelle giovani menti: sarebbero stati i suoi ricordi a parlare per lui.

Evento che tiene viva la sua passione per la scrittura è il periodo d’esilio, durato undici anni, grazie al quale Platone intraprende un percorso introspettivo e comprende la sua vera natura.

E se Socrate non fosse stato condannato?

In questo caso, probabilmente, non conosceremmo Platone come lo conosciamo adesso; infatti, la condanna a morte di Socrate portò il suo discepolo a denunciare lo stato ateniese e a idearne uno perfetto, in cui i giusti non vengono condannati inutilmente. Raccontare storie e non dimenticarle può cambiare il mondo.

Ma allora Platone scrive solo perché la reputa un’ingiustizia?

Più o meno: Platone decide di affrontare il dolore e il lutto in maniera diversa dagli altri.

Decide di affrontarlo, addomesticarlo, domarlo e infine lasciarlo andare.

Ognuno di noi, infatti, elabora il lutto in maniera propria: c’è chi scrive, chi parla, chi ignora (parzialmente). L’importante è ricordare sempre che basta anche un singolo piccolo ricordo per far sì che la figura di chi abbiamo perso continui ad esistere!

Quindi Platone ha lasciato degli scritti solo grazie alla morte di Socrate?

Probabile: il dolore, soprattutto dovuto all’amore, ci porta a compiere scelte che prima non avremmo mai fatto.

Nel caso di Dante, quest’emozione è stata l’amore (non ricambiato) verso Beatrice, per Platone è stata la perdita di un idolo, un modello da seguire (amore perduto per sempre).  Se Socrate non fosse mai stato condannato, probabilmente, Platone non sarebbe mai riuscito a scrivere testi così formidabili da essere ancora letti 2000 anni dopo.

È possibile dunque evitare di affrontare il lutto?

No, ad ognuno di noi capita di sfiorare terribili buchi neri che risucchiano tutto nelle loro tenebre, ma a volte essi si rivelano solo un modo per cambiare; se si riesce ad affrontare l’oscurità, alla fine sarà possibile ritrovare sé stessi.

Tra le frasi che più ci hanno colpito ricordiamo:

“Socrate è un libero pensatore sotto una dittatura, quindi è il nemico pubblico perfetto.”[1]

“Il giorno dopo la morte di Socrate, decide che lo terrà in vita scrivendo, ne farà il suo personaggio, racconterà il maestro e le sue idee riportandone le parole esatte, prestandogli la voce.”[2]

“Mi chiamo Platone e non devo niente a nessuno.”[3]

[1] A. AMBROSIO, pagina 43, Bompiani, 2019

[2] A. AMBROSIO, pagina 49, Bompiani, 2019

[3] A. AMBROSIO, pagina 153, Bompiani, 2019

[1] A. AMBROSIO, “Platone, storia di un dolore che cambia il mondo”, pagina 42, Bompiani, 2019

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